ITALIA CHIAMA CERVELLO IN FUGA

Posted on febbraio 12, 2010. Filed under: Attualità e politica, Giovani, Ricerca | Tag:, , , |

Questa volta vorrei riprendere l’usanza dello sfruttamento dei miei “corrispondenti esteri”, per avere qualche altro spunto di riflessione per noi che restiamo in questo disgraziato paese. Qualche giorno fa mi è venuta l’idea di intervistare Marco, un amico che ha vinto una borsa di studio e da qualche anno lavora come ricercatore presso un’Università di New York. Mi pare un’imperdibile occasione per intervistare un’esemplare maschio adulto di cervello in fuga!

Bene, caro Marco, intanto raccontaci: come sei finito a New York, cosa fai di preciso e dove lavori?

La mia avventura a stelle e strisce è iniziata diciamo un po’ per caso. Dopo la laurea in biotecnologie farmaceutiche, avevo infatti deciso di fare un’esperienza all’estero visto che, come saprai, lo stato della ricerca universitaria italiana è quello che è, e Padova non è un’eccezione. Per cui, dopo l’estate 2005, ho iniziato ad inviare costosissime applications (ricordo che il pacchetto che è necessario inviare ad ogni università per essere solo considerati comprende documenti tradotti in inglese, test di lingua e più specifici per i college americani, lettere di presentazione, etc.) a diverse università europee ed americane. Alla fine, dopo vagonate di “ci dispiace ma per questo semestre siamo pieni” sono stato accettato come dottorando al City College of New York (CCNY), uno degli svariati campus che fanno parte del circuito CUNY (City University of New York).

Diciamo che la demografia di questa università è molto spostata verso una fascia di popolazione di colore e a basso reddito, trovandosi nel cuore di Harlem. Molto forti sono anche le componenti asiatiche e latine (Caraibi e centro America). Per quanto mi riguarda, dopo 4 anni di lavoro, sto terminando il mio PhD in biochimica, dividendomi tra il lavoro in laboratorio e un po’ di insegnamento che mi permette di racimolare qualche dollaro in più, visto che la vita a Manhattan non costa certo quanto in qualche villaggio sperduto del North Dakota…

Se hai visto qualche mio post precedente ti sarai reso conto che, per sapere cosa succede fuori dall’Italia, piuttosto che leggere le pagine sull’estero dei nostri giornali preferisco sentire l’opinione di chi all’estero ci vive. Dal tuo osservatorio ti sei fatto un’idea sulla politica di Obama ad un anno dal suo insediamento? Soprattutto: qual è l’opinione della gente comune sulle iniziative più importanti dell’Amministrazione Obama, penso soprattutto alla riforma sanitaria?

La “moda” Obama sta secondo me un po’ scemando. Ricordo che l’entusisamo era alle stelle circa un anno fa, durante la cerimonia del suo insediamento. D’altronde si stava realizzando ciò che fino ad allora si era visto solo quando improbabili asteroidi, apocalittiche sciagure climatiche o orde di famelici alieni erano sul punto di minacciare la terra, ossia un presidente afroamericano alla White House! Tuttavia, dagli ultimi sondaggi di popolarità, pare che gli elettori non dimentichino le svariate promesse elettorali che finora stentano ad essere compiute, in particolare il ritiro delle truppe dall’Iraq e, come ricordavi tu, la riforma sanitaria, cavallo di battaglia della campagna di Hillary Clinton e adesso a serio rischio vista la risicatissima maggioranza a Washington. Nonostante tutto, NY (che è comunque da considerarsi un microcosmo a se stante) resta piuttosto filo-Obama, anche se la sensazione è che l’”altra” America inizi a storcere un po’ il naso e a spazientirsi; non è un buon segnale in vista delle elezioni di medio termine di fine anno.

Torno sul titolo del post: qual’è, tra i colleghi e gli studenti della tua facoltà, l’opinione rispetto al fenomeno “cervelli in fuga”? Lo conoscono? Come si considerano gli italiani – e gli stranieri in genere – che come te sacrificano anni lontani da casa sull’altare delle opportunità professionali? Ma poi è davvero un sacrificio?

Il fenomeno è certamente conosciuto, tuttavia è conosciuto per motivi diversi. La “fuga” dall’Italia, che è al 99% motivata da mancanza di fondi strutture e strumentazioni all’altezza, non e’ lo stesso tipo di fuga che caratterizza le transumanze annuali di migliaia di studenti asiatici o indiani verso la terra promessa statunitense. Nelle grandi metropoli asiatiche infatti non mancano certo le strutture. In questi casi normalmente si tenta di fuggire da una povertà economica e sociale, per cui non sorprende che solo pochissimi studenti del dragone rientrino una volta finiti gli studi (nonstante un recente programma finanziato da Pechino per favorire il ritorno degli scienziati formatisi in occidente). Gli europei invece – comunque un’esigua percentuale – conservano ancora il fascino esotico ormai evaporato dai cinesi…

Rispondo alla tua ultima domanda dal punto di vista di uno studente e non di un emigrato per motivi di lavoro. Si: è un sacrificio, e questo è un dato oggettivo per chiunque debba lasciare famiglia, amici etc. – e non per pochi mesi – salendo su un aereo senza sapere cosa lo aspetta al suo arrivo. La soggettività entra poi nella misura del sacrificio. Nel mio caso il primo anno e’ stato molto duro, con un inevitabile primo periodo di adattamento-shock dove in primis vi è la barriera linguistica da superare, uno stile di vita tutto da reinventare, diversi traslochi e 12 mesi di dubbi… Poi però inizi a costruirti una nuova routine e a sfruttare l’occasione che di certo è unica nella vita e che mi sento di consigliare a chiunque ne abbia l’opportunità.

Tuttavia concludo ricordando che non tutti i cervelli fuggono per sempre: confesso che la fuga del mio cervello sta per terminare e che presto mi “costituirò” ai patrii lidi ritornando con un titolo di alto livello, ma la cui spendibilità sarà tutta da dimostrare… si prospetta un’altra avventura!!

Intanto ti ringrazio anche a nome del blog, ma credo che potremmo avere qualche altra domanda da farti in futuro, magari prima che rientri definitivamente… possiamo approfittare? Grazie ancora e in bocca al lupo!

Alvise

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